Lo scorso anno Amazon Video aveva lanciato il primo episodio di The Last Tycoon per testare il gradimento del pubblico e, in caso, attirare l’attenzione su quella che è divenuta una delle sue serie di punta per questa estate.
Tra aspettative lanciate alle stelle e campagne pubblicitarie da chissà quanti milioni, The Last Tycoon ha debuttato nei suoi nove episodi ed io, dopo averli visti tutti, mi chiedo ancora: l’esperimento sarà riuscito completamente?
Non sappiamo cosa avessero in mente gli autori quando hanno messo in cantiere l’ambizioso progetto, ma è certo che le falle non sono mancate. Ad iniziare dai personaggi, troppi e alcuni anche inutili, finendo alla trama che racchiude in sé una veloce lezione di storia, tutta concentrata nei mesi a cavallo tra il 1935 ed il 1936.
La protagonista indiscussa è la Hollywood degli anni d’oro, con le sue luci e le tante ombre, gli spettri e le copertine patinate; non che sembri molto diversa ora da quanto lo sia stata in passato, ma il tema hollywoodiano non basta ad appassionare lo spettatore fino in fondo.
A destreggiarsi tra la crisi economica, figlia del tragico ’29, e la censura nazista, giunta anche nel cinema oltreoceano, c’è la Brady American Pictures, casa di produzione cinematografica guidata da Pat Brady (Kelsey Grammer), affarista senza scrupoli.
Ma il vero fiore all’occhiello degli studios è Monroe Stahr, interpretato da un magistrale Matt Bomer, qui nella suo ruolo più intenso dopo l’avventura di The Normal Heart.
Il giovane produttore cinematografico, Golden Boy della Hollywood anni ’30, ha un grosso progetto tra le mani: la realizzazione di un film biografico che racconti la vita della moglie defunta, Minna Davis (Jessica De Gouw). La donna, deceduta durante un incendio, è stata la stella di punta della Brady American fino al giorno della sua morte e, di conseguenza, un film sulla sua vita sarebbe una fonte certa di incassi.
Ma c’è un piccolo ostacolo, anzi due: il primo riguarda i costi preventivati, molto alti rispetto le possibilità della BA; il secondo è di natura politica: con l’ascesa della Germania nazista in Europa e l’arrivo della censura nel cinema americano, risulta impossibile produrre un film che parla anche dell’amore tra Minna, l’attrice venuta dal nulla, e Monroe, un giovane uomo ebreo. Scandalo!
Dunque il film naufraga, causando una reazione a catena di eventi che colpiscono dapprima Monroe ed il suo già debole cuore (un difetto cardiaco congenito rischia di ucciderlo), ma soprattutto suo cognato Dex, sceneggiatore di belle speranze, nonché fratello di Minna. Il suo suicidio colpisce gli studi, sebbene il business non si fermi mai.
Eppure, i problemi per il “boy genius” Monroe Stahr non finiscono qui.
Come ogni classico bell’uomo, ricco e di successo che si rispetti, anche lui ha la sua nutrita schiera di donne che gli orbitano attorno, attirando le antipatie di molti uomini, Pat compreso.
La prima è Celia Brady (Lily Collins), figlia proprio di Pat, nonché aspirante scrittrice e produttrice nella Hollywood da cui il padre vuole allontanarla. Ma Celia è la rappresentazione della nuova società, nata dopo la crisi del ’29; come disse lo stesso Fitzgerald in una delle sue lettere, i giovani non sono più impegnati in feste e festini vari, ma si interessano di politica, discutono di attualità, studiano e pensano concretamente al futuro. Sono attivi nella società e fanno di tutto affinché le loro voci siano ascoltate.
Di fatti, il personaggio di Cecilia “Celia” Brady, nell’opera incompiuta di Francis Scott Fitzgerald, è ispirato alla figlia dell’autore, all’epoca diciannovenne come la nostra Celia.
Lei è sicuramente uno dei pochissimi personaggi tridimensionali e realmente appassionanti, assieme allo stesse Monroe di cui è follemente innamorata.
Sono vani i suoi tentativi di circuirlo, eppure Celia offre al produttore una preziosa via d’uscita per superare la censura, ma con un altro film: An Enemy Among Us.
Film che, purtroppo, non vedrà la luce con la Brady American, a causa dell’invidia/odio che Par prova per l’uomo che l’ha salvato, appunto, con il suo genio.
Continuando sulla scia dei “problemi di Monroe”, aggiungiamo alla lista delle donne che sono pazzamente innamorate di lui anche Rose Brady (Rosemarie DeWitt), moglie di Pat e madre di Celia. Monroe e Rose intrattengono una relazione clandestina dalla morte di Minna al secondo episodio della prima stagione, circa; il tutto è iniziato nello spirito del “chiodo scaccia chiodo”, ma Rose perde la testa e la relazione si trasforma, per lei, in un’esecuzione con l’entrata in scena di Kathleen Moore (Dominique McElligott), cameriera irlandese di cui Monroe si innamora. Un po’ per la sua spiccata somiglianza (ma dove?!) con Minna e un po’ per quell’accento irlandese falso.
Sì, perché Kathleen è in realtà Jane e di irlandese non ha un bel niente. Fa tutto parte di un piano del suo agente per spalancarle le porte di Hollywood, usando le debolezze del bel Monroe. Un altro colpo ad un cuore fin troppo ferito. Sopravvivrà all’amara scoperta?
Questo è, a grandi linee, ciò su cui si basa la trama dei nove episodi, e a questo sunto vanno aggiunte la rivalità con la MGM (il colosso Metro Goldwyn Mayer) e le rivolte sindacali che ci mostrano il lato paternalistico di Monroe, così come Fitzgerald lo descrive nel suo scritto.
Chiunque abbia letto Gli ultimi fuochi, avrà notato che la serie è liberamente tratta dalle pagine scritte dall’autore prematuramente scomparso e che, oltre a riprodurre un flebile scintillio di una Hollywood che dovrebbe farci sognare (ma che ci fa inorridire per la maggior parte del tempo), non conserva neppure l’anima dei protagonisti o del racconto in sé.
Ed è soprattutto da questo punto di vista che ho trovato deludente l’adattamento televisivo, benché il cast meriti un plauso.Nonostante gli scivoloni, va riconosciuto il fatto che siano stati riuniti in una sola serie degli attori straordinari, ad iniziare da Kelsey Grammer, Matt Bomer e Lily Collins la cui chimica on-screen è sorprendente, per finire a Jennifer Beals e alla sua Margo Taft, attrice da Oscar che, forte del suo talento, porta avanti la sua personale lotta contro il maschilismo che impera ad Hollywood. Divina è dir poco.
Ma ripeto: basteranno questi elementi a decretare il rinnovo per una successiva stagione?
Sebbene non ne sia entusiasta io spero in un sì da parte di Amazon Video, in virtù di un finale troppo aperto – nel caso di rinnovo – e, al tempo stesso, tristemente definitivo nel caso di una prematura cancellazione.
E voi cosa ne pensate? Commentiamo insieme!